RECENSIONI

Una prima NOTA DI LETTURA:

“Non sono mai uscito dalla mia adolescenza. Per motivi più grandi di me sono rimasto bambino e gioco a dipingere e a scrivere inventandomi una vita persa.

Solitario

Il becchino

scava

la fossa.

Mette

il cuore

del poeta

nel

buco nero.

Tutto

è compiuto.”

Basterebbero queste considerazioni ad incipit e questa poesia, poste circa a metà del volumetto di Giovanni Neri “Ricordi – poesie 1985-2016” (Creazioni MiRè 2023), per mettere un punto di non ritorno a tutto quello che ha preceduto queste parole e per depotenziare tutto ciò che arriverà in seguito. Eppure, proprio in virtù di questa onesta, aperta, ineluttabile considerazione lapidaria di sé, Giovanni apre uno squarcio enorme a tutto ciò che a questa considerazione ha portato, e così a nuovi versi, diretti, schietti e poco romanzati. Ché si sa che è proprio dalle fenditure della crepa che passa la luce migliore. La presenza della madre, a cui questa raccolta poetica è dedicata, si percepisce in tutto lo snodarsi di un fluido scrivere, quasi un dono a lei continuo di tutta un’esperienza di campi, relazioni mai iniziate, o complesse, o presto finite; di buio e di ombre costanti come costante è la ricerca di fondo di uno star bene che duri più di “una porta aperta di un sogno che vola via”. Illusioni, sogni infranti, malessere, paiono non placarsi mai nelle poesie di Neri. E non c’è mai sollievo duraturo davvero per un poeta che nasce già destinato a venti di solitudine. Per questo arriva il gioco della pittura come un eroe su un cavallo bianco. Lui che degli animali della fattoria ne ha fatto tesoro di affetti. E forse quel cavallo lo sa cavalcare ancora tra i pascoli dei suoi ricordi, comunque preziosi come il titolo lo testimonia.

Serena Vestene

Recensione nr. 2

UNO STRANO PAESE -Muriel Barbery – Traduzione dal francese di Alberto Bracci Testasecca

Accostare l’effetto filtro nelle foto di Giovanni alle brume elfiche del romanzo “Uno strano paese” di Muriel Burbery è cosa presto fatta, se le descrizioni dei paesaggi hanno una bellezza rarefatta che si sposa con l’idea ultima di fotografia del pittore e fotografo Giovanni Neri. La tecnica personale studiata da Giovanni permette di creare una lente alternativa all’occhio e di mostrare oltre l’immagine qualcosa che sta dietro. Come un altro strano paese, appunto.

Perché anche nel romanzo stesso sembrano mondi lontani quello degli elfi e quello degli uomini, ma su di loro incombe il comune peso di un destino di guerra, ad esempio. Qualcosa che l’autrice ha creato di verosimile, direi. Ma ad avvicinarli non c’è solo questa catastrofe imminente, ma la delicatezza percettiva dei personaggi che si relazionano o insegnano ad altri esseri diversi da loro a relazionarsi con la bellezza dei paesaggi descritti, veri ed evanescenti al contempo; così come diventano elementi di vicinanza la scoperta del cibo, del vino, del tè delle brume che altro non è che l’elisir per il guardare oltre. Come i filtri fotografici per Neri. Non ultimo, anzi l’aspetto che personalmente mi ha intrigato e affascinato di più, è la poesia, che ha un posto molto importante nella storia, divenendo quasi un canale comunicativo privilegiato per rinsaldare quel ponte invisibile tra queste due realtà. Un ponte che spesso nel concreto arriva anche a scomparire ma mai quando si tratta di lei: la poesia.

Così, vignaioli, elfi – e uno in particolare di nome Petrus – e due figure femminili dalla natura elfico-umana, Clara e Maria, si ritrovano a far fronte alle imminenti sorti delle battaglie. Non vi svelerò il finale, anche perché non è questo lo scopo, ma cercherò di portarvi in quelle atmosfere irreali attraverso la fotografia di Giovanni, un’elaborazione che diventa rilettura suggestiva dei luoghi fantastici del romanzo ma a noi più vicini che mai.

Era un’alba brumosa e qualcuno aveva ripassato il paesaggio con l’inchiostro. L’acqua era nera, mentre la nebbia creava disegni incredibili. Era un paesaggio …. che andava dritto al cuore”

  • Alcune le trovo nel mio cuore” aveva detto “Ma questa è venuta da un altro mondo”
  • Alla terra e al cielo
  • Per i vostri morti vivete
  • E grande nudità
  • Per gli uomini provate
  • Affinché nelle ore ultime
  • La vostra nobiltà ci obblighi”
  • (…)
  • Questi versi sono particolari perché li conoscevo prima di comporli”
  • Non si deve sapere sempre in anticipo quello che si sta componendo?” aveva chiesto Jesùs.
  • Se sei un bravo artigiano, forse” aveva risposto Luis mettendosi a ridere. “Ma se vuoi essere poeta o guerriero devi accettare di perderti”
  • In questi lutti
  • Anima liquida
  • Dormo vestito di nuvole”

Il fatto è che i paesaggi delle brume sono gli alter ego delle anime che li incarnano. Gli umani, separando ciò che vede da ciò che è visto e ciò che crea da ciò che è creato non possono capire la natura di questo gioco di specchi. Gli elfi non concepiscono le loro terre come porzioni del mondo in cui abitano, ma come forze dinamiche in cui si dispiega la loro stessa energia mentre il tè fornisce occhi e orecchi interni a quella grande fusione vitale, così come non vedevano mai se stessi ammirare i paesaggi, ma in ogni valle, ogni albero e ogni giardino vedevano l’opera del cosmo nella sua interezza, l’immensità solidale riflessa nell’intimo delle brume.”

Ciò dava luogo a un popolo pacifico, perché la totalità non potrebbe pensare a combattere la totalità, tanto che gli elfi si sarebbero stupiti che si potessero raccontare storie come faccio io, nelle quali avrebbero visto solo paesaggi arbitrariamente estrapolati dal magma della vita”

Così come un tessuto bagnato restituisce inchiostri e pigmenti, le fantasie degli umani facevano restituire al mondo i suoi strati invisibili frementi e nudi alla luce del sole. Era quella la vera bellezza delle storie, grazie a una tessitura complessa in cui non si guardava mai la parte visibile della stoffa, ma un leggero scintillio in filigrana della trama.”

Raggiunsero il ponte. Stava sorgendo l’alba. In lontananza alle spalle del padiglione, oltre la valle, brevi lampi morivano alla fine della notte e nel giorno nascente striavano il cielo di deflagrazioni che si fondevano nell’aurora. Poi si sentì un tuono lontano sgorgato dagli interstizi della folgore.”

L’inchiostro si indurì sul pavimento, e poco a poco il tratto si ingrandì fino ad attraversare le pareti di legno del padiglione divenute trasparenti. Fuori si trasformò in una struttura gigante che si allungò per formare un ponte scintillante di tenebre che non aveva arcata né pilastri, era una semplice striscia nera gettata ai confini dello sguardo.

Il nuovo ponte” disse Maria”

All’ora ultima di amare

Tutto sarà vuoto e meraviglioso”

Recensione nr. 1

Blue – da “Fuochi blu” di James Hillman

“È l’azzurro che conferisce profondità all’idea di riflessione, ben oltre la nozione limitata di rispecchiamento, aprendola a quelle del soppesare, considerare e meditare.

I colori che annunciano il bianco vengono espressi come Iride e arcobaleno, come prato fiorito e soprattutto come lo splendore della coda del pavone con i suoi innumerevoli occhi. Secondo Paracelso, i colori nascono dall’azione dell’asciutto sull’umido. Che lo si creda o meno, c’è più colore nel deserto alchemico che nel diluvio, nella povertà di emozioni che nella sovrabbondanza. Prosciugandosi, l’anima si libera dal soggettivismo personalistico e, via via che l’umidità indietreggia, la vivacità prima posseduta dal sentimento può travasarsi nell’immaginazione. L’azzurro assume qui un’importanza particolare, perché è il colore dell’immaginazione tout court. Baso questa mia affermazione apodittica non solo sulle cose che siamo venuti esplorando: l’umore bleu che alimenta la rêverie, il cielo azzurro che richiama l’immaginazione mitica ai suoi ambiti più lontani, l’azzurro di Maria, la quale per l’Occidente è l’epitome di Anima intesa come istigatrice del fare immagini, la rosa azzurra del romanzo cavalleresco, un pathos che si strugge per l’impossibile contra naturam (e pathos era il nome del pallido asfodelo, il fiore dei sepolcri).”

Questo passaggio “Bleu” dal libro “I Fuochi Blu” di James Hillman pare oltrepassare la mera sfera psicanalitica e archetipica tipica dell’autore per tuffarsi a mani sporche di colore nel mondo dell’arte pittorica, della creatività immaginativa. E, per collegamento tematico, l’ho relazionato anche alle opere di Giovanni Neri, pittore contemporaneo. Nella sua espressione pittorica, nei suoi paesaggi, a volte improbabili, a volte impossibili, a volte solo cromatici, come in uno di questi suoi ultimi lavori che proponiamo qui sotto, il suo amore per il deserto e la parte più secca dell’emisfero trova qui piena espressione, in questa tendenza al rarefatto nella parte alta, quasi a inoltrarsi nel tipico miraggio del deserto. Un’assenza di umidità, nell’umidità desiderata dall’occhio, che rafforza l’idea dell’azzurro come colore dell’immaginazione.

(nella foto l’opera di Giovanni Neri dalla sua serie “paesaggi”)

L’analisi che Hillman fà del rapporto tra psiche e anima in questo volume che raccoglie vari scritti, aveva già incontrato parole che sanno di terra: “Il sale dell’anima. Lo zolfo dello spirito”; ma anche di immaginativa creazione più pura ne “La base poetica della mente”, in una serie di accostamenti tra considerazioni tipiche della patologizzazione dei sintomi espressi dall’anima e la parte più meditativa, riflessiva, che è indispensabile all’ascolto e all’attraversamento di questi stessi sintomi, per non superare ma per transitare in contesti definiti depressivi, o con termini ancora più pesanti. L’accostamento della filosofia hillmaniana con la pittura meditativa, spontanea e per questo ancora più espressiva  animicamente di Giovanni Neri, mi porta a consigliare un’attenta lettura di questo ricco volume di 442 pagine di Hillman proprio al mondo dell’arte e degli artisti, e proprio in virtù di questo suo raccogliere molti stralci riflessivi in accostamenti con i processi mentali che si possono ritrovare nel mondo poetico, nell’idea creativa, e in questo passaggio proprio con il mondo dei colori, che, dal “blue” come espressione verbale di tristezza e stato di afflizione, asciuga l’anima e la porta a quel deserto dove l’ascolto diventa indispensabile compagno di attraversamento di tutte le sue espressioni senza giudizio. Un’analisi che mira a trovare nuove prospettive e nuove angolazioni a una scienza ridotta spesso a una mera scienza del comportamento, ma che lo stesso Hillman va a superare nell’apporto indispensabile dell’immaginazione, interpretabile come materializzazione dello stato di svuotamento, di moto dell’interiorità, di voce all’inesprimibile e di ricerca di tracce di sé nell’onirico e/o reale spettro delle possibilità espressive.

Serena Vestene – poeta